Il digiuno, salute del corpo e salute dello spirito
Nutrirsi è una necessità primaria, assicura il mantenimento della vita ed è un comportamento istintivo. Il neonato che cerca il seno materno vuole il nutrimento e il proprio benessere: un modo di agire che lo accompagnerà per la vita. Tuttavia, l’uomo fin dall’antichità alla ricerca del cibo ha associato la pratica del digiuno. All’inizio della propria storia, senza dubbio, il digiuno non era cercato, ma sopportato: la disponibilità di cibo era casuale e discontinua, da qui la capacità di saper affrontare periodi anche lunghi di digiuno.
Solo dopo alcune migliaia di anni, l’uomo si è reso conto che il digiuno è in grado di attivare meccanismi fisiologici di disintossicazione, utili al vivere in salute. Per tutto ciò, il digiuno è diventato via via una pratica per guarire dalle malattie, e in senso religioso per purificarsi lo spirito ed entrare in contatto col divino. Diversamente nell’era moderna, il valore fisiologico e spirituale del digiuno in pratica si è perso, e si è fatto strada invece il convincimento che digiunare sia qualcosa di punitivo; nell’era dell’abbondanza l’astinenza dal cibo è diventata indiscutibilmente impopolare.
Oggi il nostro modo di alimentarci, nella sovrabbondanza e con cibi prodotti industrialmente, porta spesso a intossicazione e malattia. In ogni caso, è risaputo che il digiuno ha le capacità di disintossicare l’organismo; tra l’altro, compare persino per ragioni di fede in tutte le grandi religioni - Giudaismo, Cristianesimo, Islamismo, Buddismo, Induismo - come mezzo di purificazione dello spirito, per acquisire chiarezza di visione e capacità di meditazione mistica. Inoltre, nelle religioni primitive fu spesso un mezzo per soddisfare col sacrificio i voleri delle divinità, e anche un modo per favorire la fertilità, o con lo scopo di prepararsi ad adempimenti cerimoniali.
Allo stesso modo, pure nella nostra società del benessere la pratica della privazione di cibo può esprimere una scelta per il controllo fisiologico del proprio corpo, piuttosto che la comoda abitudine di ricorrere ai farmaci; abitudine quest’ultima che ha di fatto rimosso dalla nostra memoria l’antica pratica del digiuno. In definitiva, la persona che digiuna, nella giusta misura e con saggia prudenza, può riscoprire le potenzialità di auto-guarigione di cui l’organismo è dotato, e per il “credente” la possibilità di esprimersi in una “manifestazione di fede con il corpo”.