Il mio onore, ciò che io credo tu creda di me
Era il gennaio del 1993 quando Jean-Claude Romand, nella sua casa in Svizzera, uccide la moglie, i due figli di cinque e sette anni, i genitori e il suo cane. Poi incendia la casa, prende una forte dose di sonniferi e s’addormenta, ma la morte non arriva. Il magistrato che si è occupato del caso scrisse: i crimini commessi da Jean-Claude Romand, un falso medico, avevano come movente la paura di essere smascherato.
Tutti sappiamo dalla cronaca dei giornali che molti omicidi sono da attribuire a moventi futili: uno scambio verbale aggressivo, un insulto, una mancata precedenza e molto altro. Gli esperti ci dicono che tra le spiegazioni più convincenti dei delitti senza un serio movente, prima di tutto, vengono l’onore, la reputazione e l’orgoglio. Ciò significa, nella sostanza, che la nostra immagine sociale è una parte preziosa di noi stessi che tuteliamo con grande attenzione, al punto che se minacciata possiamo perdere l’autocontrollo e reagire oltre la giusta misura; la difesa del nostro onore può portarci a compiere atti estremi, insensati e a volte assurdamente rischiosi. Preoccuparsi, quindi, con assillo della propria reputazione – ciò che io credo tu creda di me – e visti i costi che questo comporta e visti i benefici che possiamo trarne, è legittimo domandarsi se questa è una strategia razionale; forse non lo è proprio.
E per concludere, riscontriamo che l’onore, la reputazione e la stima possono essere il movente delle nostre azioni, anche di quelle meno pacifiche. Però, sappiamo inoltre che il “dare e ricevere stima” sono due facce della stessa dinamica sociale, dove poter trovare tra il prossimo il nostro posto più adatto, il luogo comunitario dove si creano legami di amicizia e che permette la convivenza civile.