LA SCUOLA NON DEVE INSEGNARE UN LAVORO?!
Molti aspirano percorsi di studio più professionalizzanti. Ma a ben vedere il progressivo accorciamento del ciclo di vita di tecnologie e conoscenza, rende presto superate le competenze così costruite. Questa posizione ha quindi limiti che vengono spesso sottovalutati. Oggi non sappiamo di quali competenze avremo bisogno nel prossimo futuro. La scuola di oggi, università compresa, dovrebbe preparare gli studenti per lavori che ancora non sono stati creati, tecnologie che ancora non sono state inventate e problemi ancora sconosciuti. Quindi, formazione generale o professionalizzante?
Il modello orientato alla professionalizzazione ha un vantaggio rispetto a quello generalista nella fase di entrata nel mercato del lavoro, poiché garantisce una maggiore capacità di trovarne uno, ma rivela uno svantaggio di occupabilità nell’arco dell’intera vita lavorativa; uno svantaggio che deriva da una minore adattabilità dei lavoratori al cambiamento e nelle fasi congiunturali negative. La contrapposizione tra i due modelli mostra un conflitto di interesse tra lavoratori da un lato e imprese dall’altro. Queste ultime vogliono contare su lavoratori con elevata professionalizzazione, utilizzabile senza dover sostenere costi aggiuntivi di formazione. Il lavoratore punta invece a competenze generali da consentirgli, attraverso la formazione continua, di adattarsi ai mutamenti del mercato. Interessi contrapposti tra aziende e lavoratori. È evidente che, all’interno di questo conflitto, la questione centrale è chi debba sostenere i costi della professionalizzazione e della formazione continua. All’interno di questa realtà, ognuno dovrebbe svolgere il proprio compito: la scuola e l’università dovrebbero favorire le scelte formative e fornire competenze generali, e solo in parte professionalizzanti. Attraverso i tirocini e la formazione in entrata e continua, le imprese dovrebbero invece indirizzare le competenze generali in competenze utili alle loro esigenze. I datori di lavoro più lungimiranti sono pienamente coscienti che, in un regime di mutamento continuo degli obiettivi dell’impresa, è anche nel loro interesse potere contare su un ridotto ricambio del personale, cosa realizzabile solo grazie a una forza lavoro in possesso di competenze adattabili nel tempo. Sfortunatamente, la loro sembra una voce minoritaria.